La trasformazione urbana passa dall’intelligenza artificiale, dalla digitalizzazione dei servizi e dalla capacità delle città di costruire una reputazione credibile e condivisa. L’AI diventa infrastruttura civica, migliora processi, rafforza la fiducia e rende più efficiente la vita quotidiana. Una città intelligente nasce quando tecnologia e capitale umano crescono insieme.
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Roma sta vivendo una stagione in cui la tecnologia non è più un accessorio, né una promessa astratta, ma un elemento che accompagna la trasformazione sociale. La Capitale ha scelto un percorso diverso rispetto a molte metropoli globali: non inseguire l’innovazione per stupire, ma per costruire una città più giusta, più accessibile, più condivisa. Una città in cui le differenze non sono una complessità da gestire, ma una risorsa da valorizzare. In questo contesto, il lavoro delle istituzioni assume un significato nuovo: non limitarsi a introdurre strumenti digitali, ma usare l’innovazione per rafforzare il tessuto umano, economico e culturale che definisce l’identità della città.
Lo scenario internazionale conferma quanto questa direzione sia oggi centrale. A Barcellona, nel corso dello Smart City Expo World Congress 2025, è emerso con chiarezza un cambiamento di sensibilità: le città non vogliono più essere vetrine di tecnologie avveniristiche, ma modelli reali di trasformazione. L’epoca degli annunci è terminata. Ciò che conta non è più installare dispositivi o esibire prototipi, ma integrare sistemi, strutturare reti, generare valore sociale. Le metropoli più avanzate non si presentano come laboratori chiusi, ma come organismi complessi in costante dialogo con cittadini, imprese, istituzioni e comunità.
I parametri che plasmano gli indici internazionali non sono più meramente tecnologici: accanto a connettività, infrastrutture digitali, sensoristica urbana, troviamo indicatori legati a qualità della vita, accesso ai servizi essenziali, equità territoriale, governance trasparente e capacità inclusiva. Una città è davvero “intelligente” se riesce a migliorare la vita delle persone che la abitano. Un sistema urbano completamente automatizzato ma diseguale non può essere definito smart. Una città ricca di soluzioni digitali ma povera di diritti non è un modello di futuro.
Questa consapevolezza si è consolidata anche grazie alla riflessione su quattro tendenze che stanno ridefinendo le politiche urbane globali:
1. Il superamento dell’innovazione come spettacolo.
Le città più credibili sono quelle che non trasformano la tecnologia in una scenografia, ma in un mezzo per riorganizzare servizi e risorse.
2. L’ascesa dell’intelligenza artificiale come infrastruttura sociale.
Non solo algoritmi, ma strumenti che aiutano a gestire flussi, prevedere criticità, rendere più semplice la vita quotidiana.
3. L’esigenza di costruire reti inclusive.
Una città connessa non è quella che ha più antenne, ma quella in cui l’accesso digitale non crea nuove esclusioni.
4. Il ruolo crescente della partecipazione.
Le smart city non funzionano se non sono condivise, se non coinvolgono persone reali, quartieri reali, fragilità reali.
Su questi principi Roma si è presentata a Barcellona e ha ottenuto uno dei riconoscimenti più significativi del 2025: lo Smart City Award, che premia non la città che utilizza più tecnologia, ma quella che la usa in modo più umano, più maturo e più efficace.
Il progetto “Rome: the City is transforming” sintetizza una visione che parte da un presupposto semplice: l’innovazione deve generare valore per tutti. Il riconoscimento internazionale non è quindi un trofeo tecnico, ma la conferma di un percorso politico che ha scelto di orientare la trasformazione digitale verso lo sviluppo civile e la coesione sociale. Non si tratta di un cambio di rotta improvviso, ma di una strategia costruita negli ultimi anni, grazie al lavoro dell’amministrazione e al contributo dell’assessorato alle Attività Produttive, Pari Opportunità e Attrazione Investimenti.
Per descrivere questa visione, Roma ha scelto un acronimo volutamente insolito per il mondo tecnologico: AMOR – The Human Side of Innovation. Non è una formula di marketing, ma una dichiarazione identitaria: l’innovazione non deve diventare una barriera tra istituzione e cittadino, ma un modo per semplificare la vita, collegare parti della città, creare nuove opportunità e garantire diritti a chi oggi rischia di rimanere ai margini.
In questa cornice, i progetti attivati negli ultimi anni raccontano un percorso concreto. Roma5G sta potenziando la rete di ultima generazione, migliorando connettività, servizi pubblici e sicurezza. Le piattaforme digitali di AMA e ATAC hanno avviato una profonda revisione dei servizi di igiene urbana e trasporto pubblico, riducendo la distanza tra cittadino e pubblica amministrazione. L’infrastruttura per la gestione del traffico realizzata con Almaviva sta introducendo soluzioni che migliorano la mobilità quotidiana. Il polo di sicurezza urbana sviluppato insieme a Leonardo offre strumenti avanzati per proteggere spazi pubblici, grandi eventi e flussi cittadini.
Accanto a queste trasformazioni, sta crescendo un ecosistema che porta innovazione al livello di quartiere. La Casa delle Tecnologie Emergenti di Roma (CTE) rappresenta uno dei motori principali di questa evoluzione. Nata per iniziativa dell’amministrazione e sviluppata grazie alla collaborazione con università, startup e imprese, la CTE ha creato uno spazio dove sperimentare, condividere, testare e applicare soluzioni che abbiano effetti immediati sulla vita quotidiana. Negli ultimi anni la struttura ha finanziato percorsi di formazione, sostenuto l’imprenditoria innovativa, attivato nuove competenze e generato un impatto che ha coinvolto decine di migliaia di cittadini.
Da questo ambiente aperto e dinamico sono nate imprese che oggi rappresentano nuove frontiere del tessuto produttivo romano. Realtà come Bufaga, Lit, LotzArt, Nando, Ristobox o ShoptheLook dimostrano che la tecnologia può crescere all’interno delle comunità e poi diffondersi a livello metropolitano e nazionale. Si tratta di una generazione di imprese che condividono una caratteristica: non sviluppano innovazione per creare distanza, ma per migliorare processi, semplificare servizi, avvicinare persone.
Il messaggio che Roma porta oggi nelle arene internazionali è chiaro: la tecnologia è credibile quando si intreccia con la dimensione umana. Non basta una rete veloce per definire una città avanzata; serve una visione che metta in relazione mobilità, energia, welfare, cultura, sport, commercio, partecipazione e sicurezza. L’innovazione frammentata non produce cambiamento; quella integrata sì.
L’obiettivo è costruire un sistema urbano che si sviluppi secondo tre direttrici:
1. Digitalizzazione dei servizi pubblici.
Non semplici portali, ma piattaforme integrate che riducono tempi, costi e complessità.
2. Attrazione di investimenti e competenze.
Una città moderna deve essere capace di richiamare imprese innovative, talenti, startup e capitali. Le politiche pubbliche devono facilitare questo processo, non ostacolarlo.
3. Inclusione sociale e pari opportunità.
La tecnologia non può diventare motivo di nuova esclusione: deve essere un ponte per chi rischia di restare indietro.
Roma ha scelto di non limitarsi a imitare modelli internazionali, ma di svilupparne uno proprio, fondato sulla relazione tra cittadini e istituzioni. Il riconoscimento ottenuto a Barcellona premia questa capacità: la capacità di usare strumenti digitali per ricostruire fiducia. La cosiddetta digital trust – centrale in tutte le discussioni globali – è un elemento determinante per la qualità democratica di una città. Una metropoli in cui le persone si fidano delle istituzioni digitali riesce a crescere in modo più rapido, più stabile e più equo.
Costruire fiducia significa garantire trasparenza, sicurezza dei dati, accesso semplice ai servizi, dialogo costante con le comunità. Significa riconoscere che l’innovazione non è efficace se non viene compresa e accettata dai cittadini. Roma ha intrapreso questa direzione attraverso processi partecipativi, sperimentazioni condivise e una governance che mette al centro persone, quartieri e reti sociali.
La visione che emerge oggi è quella di una città che considera la tecnologia come una componente del proprio capitale civile. Roma non vuole essere solo un luogo che digitalizza; vuole essere un luogo che cresce attraverso l’innovazione condivisa. Una città che comprende che l’equilibrio tra velocità digitale e qualità della vita è la condizione per sviluppare benessere duraturo. Una città che non teme le differenze perché sa che la diversità è una delle sue leve più forti. Una città che ha deciso di trasformare la propria storia in futuro, non di cancellarla.
Il lavoro svolto negli ultimi anni dimostra che Roma può essere una capitale europea dell’innovazione con un tratto distintivo: umana, partecipata, inclusiva. Il percorso è ancora lungo, ma l’impronta è chiara. Gli investimenti, i progetti e le politiche avviate stanno costruendo una nuova maturità istituzionale, un nuovo modo di concepire il rapporto tra tecnologia e bene comune.
Roma ha scelto di non misurare la propria intelligenza urbana attraverso il numero di dispositivi installati, ma attraverso la fiducia che riesce a generare. E questa è una scelta profondamente politica, non solo tecnologica. È la scelta di una città che vuole innovare non per separare, ma per unire; non per accelerare, ma per accompagnare; non per sostituire l’umano, ma per sostenerlo.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una città che cambia attraverso un patto civico, non solo attraverso infrastrutture. Una città che guarda al futuro non come a una competizione tecnologica, ma come a un processo collettivo in cui istituzioni e cittadini camminano nella stessa direzione. Una città che ha deciso di essere innovativa, ma anche giusta. Moderna, ma anche solidale. Digitale, ma sempre profondamente umana.
Redazione
Autore dell'articolo
Giornalista e scrittore appassionato di politica, tecnologia e società. Racconta storie con chiarezza e attenzione ai dettagli.
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Sindaco Gualtieri Roberto