cancellare notizie diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain

Il diritto all’oblio è diventato negli ultimi anni uno dei temi più discussi e delicati del diritto digitale. Nato come principio legato alla dignità della persona e al controllo dei propri dati, ha assunto una dimensione completamente nuova con l’avvento di Internet e dei motori di ricerca, strumenti in grado di rendere potenzialmente eterno qualsiasi frammento d’informazione.

20 ottobre 2025 09:45 44
cancellare notizie diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain
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. Il volume “Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain” rappresenta una delle opere più complete su questo tema, raccogliendo il contributo di importanti studiosi e analizzando il caso che più di ogni altro ha segnato una svolta storica: la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014 nella causa C-131/12, nota come Google Spain.


La pubblicazione nasce da una ricerca promossa dalla Fondazione “Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei” e finanziata dal Ministero per i Beni Culturali, con l’obiettivo di indagare il diritto all’anonimato e all’oblio nella società dell’informazione. Il progetto editoriale, inserito nella collana “Consumatori e Mercato” dell’Università Roma Tre, parte dall’idea che la tutela dei diritti dei cittadini e la regolazione del mercato non possano più essere comprese separatamente, ma debbano essere analizzate insieme e in chiave europea. È proprio il contesto europeo, infatti, a rappresentare il terreno su cui il diritto all’oblio ha iniziato a prendere forma.


Le origini del diritto all’oblio e la trasformazione nell’era digitale

Il diritto all’oblio ha radici profonde nella tradizione giuridica europea. Nasce come esigenza di tutela della dignità e dell’identità personale, strettamente collegato al diritto alla privacy. La sua funzione è semplice ma cruciale: consentire a un individuo di non essere eternamente giudicato o identificato sulla base di fatti del passato, soprattutto quando questi non hanno più rilevanza pubblica. Se, per esempio, un cittadino ha scontato una pena o un procedimento giudiziario è terminato, il diritto all’oblio gli permette di chiedere che queste informazioni non continuino a perseguitarlo pubblicamente.


Nella società pre-digitale, questo diritto era relativamente semplice da garantire. Le notizie su carta stampata avevano un ciclo di vita breve: venivano pubblicate, discusse e poi dimenticate. Ma con Internet la situazione è cambiata radicalmente. I motori di ricerca hanno trasformato ogni informazione in qualcosa di potenzialmente eterno, indicizzandola e rendendola disponibile con un semplice clic, anche a distanza di decenni. Questa nuova realtà ha messo in crisi l’equilibrio tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza, aprendo scenari inediti e complessi.


Il caso Google Spain: la vicenda Costeja

La svolta arriva nel 2014 con il celebre caso Google Spain. Tutto parte da un cittadino spagnolo, Mario Costeja González, che chiede a Google di rimuovere dai risultati di ricerca i link a due articoli di un quotidiano pubblicati negli anni ’90, relativi a un pignoramento della sua casa per debiti ormai estinti. Questi articoli, pur veri e legittimi al momento della pubblicazione, continuavano a comparire nelle ricerche sul suo nome, danneggiandone l’immagine. L’Agenzia spagnola per la protezione dei dati gli dà ragione e ordina a Google di rimuovere quei link. L’azienda rifiuta, sostenendo di non essere soggetta alla normativa europea sulla privacy, poiché i suoi server si trovano negli Stati Uniti, e di non poter essere considerata responsabile dei contenuti presenti su siti di terze parti.

La vicenda arriva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che il 13 maggio 2014 emette una sentenza destinata a cambiare per sempre il diritto digitale. La Corte stabilisce che Google, in quanto gestore di un motore di ricerca che offre servizi anche agli utenti europei, è soggetto alla normativa europea sulla protezione dei dati (direttiva 95/46/CE) e deve rispettarla. La sua attività di indicizzazione, organizzazione e presentazione delle informazioni costituisce un vero e proprio “trattamento di dati personali”, e come tale può essere oggetto di richieste di cancellazione.


Il verdetto introduce due principi fondamentali. Primo: il diritto all’oblio consente a un individuo di chiedere la rimozione dai risultati di ricerca di link che lo riguardano, quando le informazioni sono inadeguate, non pertinenti o non più rilevanti. Secondo: i diritti fondamentali alla privacy e alla protezione dei dati personali (articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE) prevalgono, in linea di principio, non solo sugli interessi economici del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere a quelle informazioni. Tuttavia, questa prevalenza non è assoluta: se la persona interessata riveste un ruolo pubblico, l’interesse della collettività può giustificare il mantenimento delle informazioni online.

La portata rivoluzionaria della sentenza

Come sottolinea Tommaso Edoardo Frosini, la sentenza Google Spain segna uno spartiacque nel diritto alla privacy digitale. Per la prima volta, un motore di ricerca è considerato responsabile del trattamento dei dati e obbligato, in determinate circostanze, a rimuovere informazioni dai risultati di ricerca. Questo rappresenta un cambiamento epocale, perché introduce il concetto di “autodeterminazione informativa”: il diritto del singolo di decidere come, quando e per quanto tempo le informazioni che lo riguardano possano essere accessibili online.


Frosini collega questo principio alla “libertà informatica”, concetto sviluppato già negli anni Ottanta e declinato in due dimensioni: negativa e positiva. La prima consiste nel diritto di non rendere pubbliche informazioni personali; la seconda nel diritto di controllare, correggere o eliminare dati che riguardano la propria persona. Il diritto all’oblio rappresenta quindi una nuova forma del diritto di libertà personale, fondata sulla dignità umana.

Il volume sottolinea anche un aspetto cruciale: il diritto all’oblio non coincide con il diritto alla cancellazione. In molti casi, come ha affermato la Corte di Cassazione italiana (sentenze n. 5525/2012 e n. 16111/2013), non si tratta di eliminare la notizia, ma di “contestualizzarla” e aggiornarla. Una notizia vera ma non aggiornata smette di essere vera. Su Internet, dove i contenuti restano accessibili indefinitamente, l’assenza di aggiornamenti può generare informazioni distorte e dannose per la reputazione di una persona.

Il bilanciamento tra diritto all’oblio e libertà di informazione

Uno dei temi più delicati emersi dal caso Google Spain è il bilanciamento tra il diritto all’oblio e la libertà di informazione. L’Avvocato generale Niilo Jääskinen, nelle sue conclusioni, aveva invitato la Corte a non riconoscere un diritto all’oblio in quanto ciò avrebbe potuto sacrificare diritti primari come la libertà di espressione e d’informazione. Aveva inoltre espresso preoccupazione per l’idea di affidare ai motori di ricerca il compito di valutare caso per caso le richieste di rimozione, un compito che riteneva troppo delicato per essere lasciato a soggetti privati.


La Corte ha scelto una strada diversa. Ha riconosciuto il diritto all’oblio e ha stabilito che il bilanciamento tra diritti può essere effettuato caso per caso, lasciando ai motori di ricerca la responsabilità di valutare le richieste, sotto il controllo delle autorità garanti. Questa scelta ha sollevato critiche, perché affida a un soggetto privato, come Google, un ruolo quasi “para-costituzionale” nel decidere quali informazioni debbano rimanere accessibili e quali no. Per gestire questa responsabilità, Google ha creato un comitato consultivo internazionale e una piattaforma online per ricevere richieste di rimozione, cercando di bilanciare il diritto alla privacy con quello del pubblico a conoscere.

Oreste Pollicino evidenzia come la Corte abbia attribuito un peso sproporzionato agli articoli 7 e 8 della Carta di Nizza, trascurando quasi del tutto gli articoli 11 (libertà di espressione) e 16 (libertà di impresa). Questo sbilanciamento ha portato a una presunzione di prevalenza della privacy sulla libertà di informazione, invertendo il rapporto regola/eccezione rispetto alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che considera la libertà di espressione la regola e le sue limitazioni l’eccezione.

Il problema emerge chiaramente nella decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Wegrzynowski e Smolczewski vs. Polonia (2013), in cui è stato affermato che non spetta alle autorità giudiziarie “riscrivere la storia” ordinando la rimozione di articoli dal dominio pubblico, anche se ritenuti lesivi. Questo approccio è profondamente diverso da quello adottato nella sentenza Google Spain, dove la rimozione dei link è considerata uno strumento legittimo per proteggere la dignità e la reputazione dell’individuo.

Aspetti tecnici e responsabilità dei motori di ricerca

La sentenza Google Spain ha ridefinito anche il ruolo dei motori di ricerca. La Corte ha stabilito che l’attività di indicizzazione costituisce un trattamento di dati personali e che il gestore di un motore di ricerca è il “responsabile del trattamento”. Questo significa che deve rispettare tutti gli obblighi previsti dalla normativa europea, inclusa la possibilità per gli utenti di chiedere la cancellazione o la rettifica dei dati.

Questa interpretazione ha suscitato dibattiti perché amplia notevolmente la nozione di “responsabile del trattamento” e impone ai motori di ricerca obblighi complessi. Ad esempio, se sia necessario ottenere il consenso degli interessati per indicizzare i loro dati è una questione aperta. Inoltre, la Corte ha escluso che i motori di ricerca possano invocare le deroghe previste dall’articolo 9 della direttiva per il trattamento dei dati a fini giornalistici, nonostante in precedenza avesse interpretato questa disposizione in senso ampio, includendo qualsiasi attività diretta a diffondere informazioni.

Un altro aspetto importante riguarda la distinzione tra trattamento illecito e trattamento lecito dei dati. La Corte tende a confondere i due piani: mentre il primo può essere corretto con la cancellazione o la rettifica, il secondo riguarda informazioni legittime che però non sono più rilevanti. In questo secondo caso, il diritto all’oblio permette di limitarne la diffusione senza negare la verità storica.


Implicazioni globali e sviluppi successivi

La sentenza Google Spain ha avuto un impatto globale. Ha influenzato decisioni giudiziarie in altri Paesi, come in Canada, dove la Corte suprema della British Columbia ha ordinato a Google di rimuovere determinati siti dai risultati di ricerca a livello mondiale. Ha anche alimentato il dibattito sulla sovranità digitale e sul ruolo delle piattaforme private nella regolazione dell’informazione online.

La pronuncia ha spinto l’Unione Europea a rafforzare la protezione dei dati personali, culminando nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) entrato in vigore nel 2018. Il GDPR ha codificato il diritto all’oblio all’articolo 17, riconoscendo ai cittadini il diritto di ottenere la cancellazione dei propri dati quando non sono più necessari, sono trattati illecitamente o l’interessato ritira il consenso. Ha inoltre rafforzato i poteri delle autorità garanti e introdotto sanzioni significative per le violazioni.

La questione della de-indicizzazione e della portata territoriale del diritto all’oblio rimane aperta. La Corte di giustizia, in una successiva sentenza del 2019 (Google vs. CNIL), ha stabilito che i motori di ricerca non sono obbligati a rimuovere i risultati a livello globale, ma solo all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, ha riconosciuto agli Stati membri la possibilità di estendere questa tutela oltre i confini europei, se lo ritengono necessario.


Internet come nuovo ordinamento giuridico

Il volume riflette anche su una questione più ampia: Internet come nuovo ordinamento giuridico. Secondo Frosini, il cyberspazio può essere visto come uno spazio giuridico autonomo, con proprie regole e meccanismi di autoregolamentazione. Proprio come la lex mercatoria medievale regolava i rapporti commerciali oltre i confini statali, una lex informatica potrebbe emergere per governare le relazioni digitali. In questo contesto, la co-regolazione tra Stato e piattaforme private diventa essenziale: lo Stato può intervenire quando necessario, ma anche sostenere le forme di autoregolamentazione che nascono dal basso.

Internet, tuttavia, è anche teatro di nuove forme di censura e controllo. Paesi autoritari erigono “muri digitali” per limitare l’accesso alle informazioni, cancellano parole chiave dai motori di ricerca e violano la privacy dei cittadini. In questo scenario, la tutela della libertà online diventa una battaglia per la democrazia, e il diritto all’oblio deve essere bilanciato con la necessità di garantire un’informazione libera e pluralista.


Conclusioni: verso un nuovo equilibrio

Il volume “Il diritto all’oblio su Internet dopo la sentenza Google Spain” offre un’analisi approfondita e multidisciplinare di un tema che tocca la vita di tutti. Il diritto all’oblio non è solo una questione giuridica: è una sfida culturale, politica e tecnologica. Esso rappresenta il diritto di riscrivere la propria identità, di non essere prigionieri del passato e di poter ricominciare. Allo stesso tempo, deve confrontarsi con altri diritti fondamentali, come la libertà di espressione e il diritto all’informazione, che sono il fondamento delle società democratiche.

La sentenza Google Spain ha aperto la strada a una nuova concezione della privacy nell’era digitale, riconoscendo che la dignità della persona può richiedere la rimozione di informazioni anche vere, se ormai irrilevanti. Ha imposto ai motori di ricerca responsabilità inedite e ha costretto il diritto a confrontarsi con le sfide di un mondo interconnesso e in continua evoluzione.


Ma la partita non è chiusa. La tecnologia cambia più velocemente del diritto, e ogni nuova piattaforma, ogni nuovo algoritmo può rimettere tutto in discussione. La sfida del futuro sarà trovare un equilibrio dinamico tra memoria e oblio, tra trasparenza e riservatezza, tra diritto a sapere e diritto a dimenticare. In questo equilibrio si gioca non solo il destino della privacy, ma anche quello della libertà e della democrazia nella società digitale.

Domande frequenti

Il diritto all’oblio è il diritto di ogni individuo a non essere eternamente associato a fatti del passato che non hanno più rilevanza pubblica. Permette di chiedere che determinate informazioni personali, pur vere, vengano rimosse o rese meno accessibili se non sono più pertinenti, al fine di tutelare dignità e reputazione.
Perché nel 2014 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i motori di ricerca, come Google, sono responsabili del trattamento dei dati personali e possono essere obbligati a rimuovere dai risultati di ricerca link contenenti informazioni inadeguate, non pertinenti o obsolete. È la prima volta che viene riconosciuto un “diritto all’oblio digitale” con effetti concreti.
Era un cittadino spagnolo che ha chiesto a Google di eliminare dai risultati di ricerca due articoli degli anni ’90 riguardanti un pignoramento ormai risolto. Riteneva che quelle informazioni, ancora visibili digitando il suo nome, danneggiassero la sua reputazione. La Corte gli ha dato ragione, obbligando Google alla rimozione dei link.
Sì, in alcuni casi. Se le informazioni sono ancora di interesse pubblico o riguardano figure pubbliche, il diritto all’informazione può prevalere sul diritto all’oblio. Il bilanciamento tra i diritti va valutato caso per caso, considerando natura, attualità e rilevanza delle informazioni.
Cancellare significa eliminare definitivamente un contenuto dal web, mentre de-indicizzare significa rimuovere il collegamento a quel contenuto dai risultati dei motori di ricerca. Nel caso Google Spain, la Corte non ha chiesto la cancellazione dell’articolo, ma la sua de-indicizzazione, così da renderlo meno facilmente accessibile.
Sì, ed è per questo che è necessario bilanciare attentamente i due diritti. Alcuni studiosi hanno criticato la sentenza perché privilegia troppo la privacy rispetto alla libertà di informazione, mentre la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sempre considerato quest’ultima come la regola e le restrizioni come eccezioni.
In prima battuta lo decide il motore di ricerca, che valuta se i criteri stabiliti dalla Corte sono soddisfatti. Tuttavia, l’utente può rivolgersi alle autorità garanti per la protezione dei dati personali o ai tribunali se la richiesta viene respinta.
Le aziende che gestiscono motori di ricerca devono rispettare la normativa europea sulla protezione dei dati e predisporre procedure per ricevere, valutare e gestire le richieste di rimozione. Devono inoltre bilanciare il diritto alla privacy con quello all’informazione, un compito complesso e delicato.
Il diritto all’oblio nasce in Europa, ma ha avuto eco globale. Alcuni tribunali di altri Paesi, come il Canada, hanno adottato decisioni simili. Tuttavia, la Corte di giustizia dell’UE ha stabilito nel 2019 che la rimozione dei link è obbligatoria solo a livello europeo, lasciando agli Stati la possibilità di estenderla oltre i confini.
Oggi è possibile presentare una richiesta di de-indicizzazione direttamente ai motori di ricerca, compilando moduli online come quello fornito da Google. Se la richiesta viene respinta, si può ricorrere all’autorità garante per la privacy o al giudice. Il diritto all’oblio è anche previsto dall’articolo 17 del GDPR, che rafforza la tutela dei dati personali nell’UE.

Cristian Nardi

Autore dell'articolo

Giornalista e scrittore appassionato di politica, tecnologia e società. Racconta storie con chiarezza e attenzione ai dettagli.

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